– di Gianluca Montinaro
Donatella Temellini – Dodi per gli amici (fra i quali ci tengo a figurare) – pare uscita da un libro di Piero Camporesi. Dodi infatti – come molte delle donne descritte nei suoi saggi dal grande storico forlivese, che tanto ha indagato la storia delle idee e il mondo della cultura materiale fra XV e XVII secolo – conosce a menadito le virtù delle piante selvatiche, i segreti dei semplici, le peculiarità delle erbe e dei fiori, le caratteristiche delle aromatiche. Tutto questo sapere, affinato in tanti anni di studio sul campo, lo ha riversato – ormai da tre decenni – nel suo lavoro, prima all’Osteria del Cucco (nel centro della rinascimentale Urbania), e – da dieci anni a questa parte – nella poco lontana Casa Tintoria, appena fuori dalla antica cinta muraria. Questo ‘spostamento’ fuori dalle vie del borgo verso uno spazio più aperto, proprio a ridosso di quel fiume Metauro cantato nel 1578 da Torquato Tasso («O del grand’Apennino / figlio picciolo sì ma glorioso…»), non ha fatto altro che aumentare ancor di più l’appropriatezza della similitudine alla quale si accennava in apertura. Ricorda infatti più volte Camporesi come le donne di cinquecento anni fa che possedevano ‘il sapere’ della natura fossero da un lato assai amate dalla popolazione, che da loro si recava per chiedere cure, ma anche fossero ‘temute’, e quindi ‘emarginate’, proprio a causa di queste loro conoscenze arcane.
Ora – tranquilli – di Dodi non bisogna avere paura alcuna perché nella sua Casa Tintoria (una autentica vecchia tintoria del Seicento, che sfruttava le acque del fiume per la lavorazione di tintura e finissaggio dei tessuti) accoglie i suoi ospiti con un sorriso così franco e dei modi così affabili che è impossibile non provare per lei un subitaneo moto di amicizia. Eppoi il luogo è di una gran bellezza, pieno com’è di fiori in estate – quando si mangia sull’impiantito che aggetta verso il Metauro, sotto alberi secolari – e di fascino in inverno, quando invece si prende posto in antiche salette, con travi in legno al soffitto e tavelle al pavimento, mobili d’antiquariato e tanti, tantissimi oggetti di famiglia che Dodi conserva con cura amorevole (si mangia – giusto per dirne un paio – con le stoviglie dei servizi di famiglia, e le tovaglie ricamate sono quelle dei corredi dei nonni e dei bisnonni della padrona di casa).
Ora, i cuochi più contemporanei, quelli più à la page, sbandierano tutti l’orto di proprietà (ma è vero? Fesso chi ci crede…!). E fanno tutti piatti ‘ove l’ingrediente vegetale è al centro’ (e giù osanna in excelsis da parte dei sedicenti e fessi ‘critici gastronomici’). Ebbene, cari signori miei: Dodi questa cucina così ‘moderna’ la fa da trent’anni a questa parte. E la fa non solo con consapevolezza estrema, ma con gusto, attenzione, stile, eleganza e tanto, tantissimo amore. I piatti seguono rigorosamente le stagioni, e non potrebbe essere altrimenti anche perché la proposta cambia praticamente ogni giorno, secondo orto ed estro: ci si affidi quindi a Dodi che, con trasporto, racconta quello che ha preparato, grazie anche all’aiuto del suo braccio destro: la Giovi (Giovanna Mori; qui, come si sarà capito, ognuno ha un soprannome).
Qui è tutto fatto in casa, pane e focacce comprese (un’altra varietà di pane arriva invece dal forno Ingrano, del giovane Massimo Ingegni, di Mercatello sul Metauro: un’eccellenza del quale scriveremo in una futura occasione). E ciò che non viene autoprodotto è rigorosamente selezionato: i formaggi – per esempio – arrivano dal caseificio Cau & Spada, oltre che dal grande Walter Kramar. La composizione di antipasti va rigorosamente assaggiata, anche perché sublima la ‘filosofia’ a ‘km zero’ della cuoca: lo sformatino di zucca violina (coltivata nell’orto di casa) con chips di topinambur (che crescono spontanei dietro casa), il muffin di broccoletti (coltivati nell’orto di casa) e capperi (che crescono selvatici sulle antiche mura), l’insalata invernale (coltivata nell’orto di casa) con nocciole caramellate nel miele d’acacia, la mousse di pollo (allevato poco lontano) con mele renette rosse selvatiche (che crescono nel parco che digrada verso il fiume) sono deliziosi nella loro spontanea semplicità.
I primi sono a base di pasta all’uovo: sono le zie di Dodi, ormai quasi novantenni, a tirare ancora la sfoglia secondo gesti e saperi (la quantità degli ingredienti dell’impasto, il rapporto fra pasta e farcia, la chiusura delle paste farcite…) che Dodi e Giovi si stanno impegnando a fare in modo che non scompaiano assieme alle persone che ancora ne sono detentrici. Sicché si scelgano – per esempio – i cappellacci di pasta matta (fatta anche con olio e vino bianco) ripieni di ricotta e borragine con crema di zucca violina e verza croccante piuttosto che i tortelli imbottiti di ricotta e aromatiche con fonduta di formaggio di capra e «falso miele di tarassaco» (ovvero un’infusione di fiori di tarassaco alla quale Dodi aggiunge un po’ di zucchero, fino a portarla alla consistenza di una melassa), il risultato è una spiazzante e nitida espressione di profumi e sapori, netti nella loro ancestralità, soavi nella loro immediatezza. Deliziosi pure i secondi, tutti a base di carne: coniglio, maiale, manzo… e capretto, cotto al forno, sfilacciato e ricomposto e accompagnato da una patata cotta sotto la cenere e da una mezza cipolla, dolcissima e profumata. E deliziosi pure i dolci e biscotti di fine pasto, che Dodi offre orgogliosa dai vasi posti sul tavolo fratino della sala d’ingresso.
La selezione dei vini non è ampia e privilegia le etichette del territorio. Il prezzo per tanta felicità? Se si mangiano quattro portate il conto a stento supera i 45 euro. Un regalo, per un luogo che tocca l’anima ed emoziona il cuore!
- Casa Tintoria
- Via Porta Mulino, 4
- Urbania (Pu)
- Tel. 0722.317412
- www.casatintoria.com
- info@casatintoria.com
- Turno di chiusura: lunedì; martedì
- Ferie: variabili