– di Gianluca Montinaro
Dopo cinquantacinque anni era inevitabile che accadesse. E anzi spiritualmente comprensibile. E pure umanamente giusto: perché «c’è un tempo e un luogo ove ogni cosa ha un inizio e ha una fine». E ora, quella fine è arrivata. E ora, dopo cinquantacinque anni, quella persona che mi ha iniziato – allora bambino seienne – al piacere della tavola e alla felicità di varcare la soglia di un ristorante, ha dismesso i suoi colorati papillon, quelli con i quali ha sempre accolto, con classe innata, gli ospiti, per godersi un po’ di strameritato riposo.
Ecco, con la cena di domenica scorsa l’attività di Gaetano e Alessandra Martini è cessata. E il loro aristocratico Cigno (Mantova) ha temporaneamente abbassato la saracinesca. Una pausa momentanea – certo – perché entro poche settimane, non appena ultimato qualche lavoro di ristrutturazione, la nuova gestione (in mano alla famiglia Antoniazzi) riaprirà la porta che affaccia su Piazza d’Arco. E lo farà – così hanno detto – con la consapevolezza e il rispetto che si devono portare a un luogo come questo. Di tutto cuore: buona fortuna!
L’impresa non sarà facile: perché Il Cigno di Tano e Sandra è stato parte della storia della ristorazione italiana. È stato la ristorazione italiana. Con la prima stella Michelin conquistata nel 1975, quando ancora la saga degli altri due eccelsi mantovani doveva iniziare («ci conoscevano come i tre dell’Ave Maria: Antonio, Roberto e io…», ricorda Tano). Con la fondazione di Linea Italia in Cucina prima. E con la fondazione de Le Soste dopo. E con la rinuncia, negli anni Novanta, – ben prima che lo facesse Senderens – ai ‘blasoni pneumatici’, a favore di una ristorazione più rilassata e meno impostata.
Una scelta che – invero – punto o nulla ha influito sul fascino del luogo e sulla cucina, che sempre smagliante ha continuato a proporre gusto e sostanza, al di là del tempo, oltre il tempo. D’altronde, cosa immaginare di più buono dei tortelli di zucca? O del luccio in salsa? O dell’insalata di petto di cappone alla Stefani? O ancora del piccione in casseruola o delle lumache alla mantovana?
Altri tempi, si dirà. Altra cucina, si dirà. Certo: d’altronde come negarlo, in questi anni di fermentazioni e spumette, di sferificazioni e di cialdine? Ma la storia resta. E non si cancella. E permane: non fra le polveri di libri e carte. Ma nel ricordo di chi Il Cigno ha avuto la ventura, la fortuna, di vivere. Nel pensiero di chi, negli anni, lì ha trascorso momenti belli. Nell’anima di tutti coloro che lì, in quelle sale palaziali, fra affreschi e mobili antichi, hanno vissuto, hanno lavorato, hanno mangiato, hanno gioito.
Sono felice per i miei amici Tano e Sandra: lunga vita! Sono felice che possano – finalmente – dedicarsi ad altro che non sia il lavoro. Un lavoro bello quello del ristoratore: ma logorante nella sua routine quotidiana, resa peraltro sempre più complicata dalle tante incombenze e costrizioni dalle quali siamo vessati. Sono felice di pensare, e di augurargli, il meglio: quella leggerezza di chi sa che domani, qualsiasi domani, non avrà da mettersi a tavolino a fare ordini, cercare personale, sbrigare pratiche amministrative. Di chi sa che non dovrà passare ore sulla stufa, sempre in piedi, sempre al caldo.
Bando – quindi – a quella ‘picciol tristezza’ che sento in fondo al cuore: a quel pensiero che qualche volta mi attaglia: non sono più lì. A quel senso di vuoto lasciato da una certezza che prima c’era (c’è stata per quarant’anni!) e che ora non c’è più. Ma bando a tutto ciò, perché – caro Tano –, anche se non più in Piazza d’Arco, noi – tu, Antonio e io – continueremo a vederci. Senza esser «presi per incantamento, e messi in un vasel», ma con qualche fetta di buon «salame mantovano» e il Vigna Alta nel bicchiere. E continueremo a sorridere bonariamente – augurando ogni fortuna – a coloro che sono alla ricerca della texture, della spinta acida e della nota amaricante. Tenendo al caldo, noi, le nostre piccole sicurezze.
- Il Cigno
- Piazza Carlo d’Arco, 1
- Mantova
- Tel. 0376.327101
- www.ristoranteilcignomantova.it