– di Gianluca Montinaro
Ha una dimestichezza con le braci, le fiamme e il fumo del camino quant’altri mai in Italia, Errico Recanati, «garzone» cresciuto a bottega dalla nonna, la ‘mitica’ Andreina Isidori: colei che, a poche centinaia di metri dal complesso della Santa Casa, a Loreto (An), ha trasformato una mescita di vino in una trattoria. Era il 1959 e Andreina, sposata da poco con Bruno Bartolini, inizia a cucinare sul focolare la cacciagione che gli amici del marito le portano. La fama di questa giovane cuoca dalla mano assai felice subito si allarga e i cacciatori, con le loro pernici e i loro colombacci, le loro lepri e i loro caprioli, prendono a giungere anche dai paesi vicini. È l’inizio del successo e, da allora, le braci qui non sono mai state spente, e lo spiedo non ha mai smesso di girare. La generazione successiva – Ave – ci ha messo del suo: sommelier appassionata ha aiutato i genitori a dare un nuovo volto al ristorante di famiglia che, nel frattempo, aveva preso il nome della cuoca (questo a significare quanto Andreina e la sua locanda fossero diventate una ‘cosa sola’). Maggiore cura nel servizio e negli ambienti presto decretano una fama che varca i confini regionali, senza però che ciò muti il ‘credo’ di questo luogo: brace, tradizione, prodotti genuini.
È stato quasi naturale per il giovane Errico, cresciuto fra la cucina e i tavoli della sala, rapito dalla gestualità della nonna e dalla passione della madre, abbracciare la strada della ristorazione e, dopo adeguati studi, andare a completare la propria formazione presso alcuni maestri riconosciuti, come Gianfranco Vissani, Pietro Leeman e Martin Dalsass.
Il ritorno di Errico a Loreto ha segnato l’ulteriore cambio di passo di Andreina. Subentrando piano piano alla nonna (che dal 2018 purtroppo non c’è più), ne ha fatto propri lo spirito e la visione, senza rinnegare né tantomeno tradire il ‘credo’ primigenio. L’antico camino continua a troneggiare davanti alla cucina perché da qui ora passano tutte le pietanze. Sì, proprio così, perché Errico è stato capace di elevare braci, fiamme e fumo a firma inconfondibile della propria proposta. I suoi piatti portano una sorta di ‘sigla’ che li identifica, rendendoli personali. Sotto quest’aspetto – quando ci si accomoda ai tavoli di Andreina – non si deve temere alcuna ‘scopiazzatura’: di quei tanti déjà vu che imperversano sulla scena gastronomica del nostro Paese qui non ce n’è neppure l’ombra. Ecco quindi che le materie prime sono, in una vertigine che non ha fine, di volta in volta abbrustite, grigliate, affumicate, essiccate, ripassate, stagionate su quel camino che è cuore pulsante e cervello pensante di questo luogo.
Errico – come ovvio che sia – ci ha messo del proprio, però in una linea di coerenza da applauso. Alcune pietanze storiche (maialino allo spiedo; piccione allo spiedo…) continuano ad apparire in carta, ma a queste se ne vanno via via affiancando altre, come l’ormai celeberrima «cacio e 7 pepi», magistrale e geniale rivisitazione degli spaghetti cacio e pepe ma cotti alla brace (creazione che, peraltro, vanta anche numerosi e malriusciti tentativi di imitazione). E come altre che appaiono nei due menu degustazione (offerti a 135 e 155 euro) e che chiamano in causa alcune inflessioni orientali, ricondotte con sapienza a una dimensione molto local (come il ramen di maiale conciato con sale e zucchero ed essiccato al camino con brodo di maiale e spaghetti di acqua di maiale o come lo spiedino di pollo tipo yakitori ma ‘alla marchigiana’: con Verdicchio, mosto cotto e ‘paccasassi’ – ovvero finocchio marino selvatico – del Conero). Piuttosto che un sagace utilizzo di verdure e frattaglie, come nei casi della carota cotta sotto sale con crema soffice di carote, emulsione di pompelmo, porro bruciato e fondo di peperone alla brace e dell’animella e ciliegia alla brace con mandorle amare, scampi e grattugiata di bottarga di cuore di agnello (ottenuta lasciando stagionare l’organo al fumo del camino).
Come appare evidente qui trionfa, di fondo, una marchigianità spiazzante: tanto negli ingredienti, quanto nella loro scansione (il binomio ‘mare-monti’ non manca). Ma trionfa soprattutto il gusto: i piatti non solo sono di ottima fattura tecnica (e – ragazzi miei – dosare brace, fiamme e fumo è molto più complicato che azionare un estrattore o un Roner!), non sono solo belli a vedersi ma – vivaddio! – sono straordinariamente buoni a mangiarsi. C’è il piacere aromatico, c’è il piacere della masticazione, c’è il piacere della definizione dei sapori, c’è il piacere della pulizia complessiva del boccone. Insomma: è una cucina – quella di Errico – che è tanto ‘vera’ quanto poco ‘discutibile’: un po’ rude all’apparenza (ma solo all’apparenza: per esempio non c’è mai traccia di sgradevoli sensazioni ematiche), ma buona assai.
Il locale, dopo i recenti restauri, è ancora più bello: il giardino è stato assai ampliato, l’ingresso spostato e le numerose sale e salette interne rese ancor più confortevoli. Il servizio è di livello e la cantina (seppur non vastissima) propone comunque un buon assortimento di etichette italiane e francesi.
Un’ultima nota va poi dedicata a Fuoco, imperdibile ‘festa’ di fine estate che, da undici anni, Errico Recanati organizza nel suo locale. Questa edizione, a numero chiuso (i posti sono solo 150), si terrà domenica 8 settembre, a partire dalle 20 (prezzo 150 euro, all inclusive). A partecipare saranno oltre cinquanta cuochi blasonati, provenienti da ogni parte d’Italia, per una serata da non perdere, che si annuncia ricca e gustosa.
- Ristorante Andreina
- Via Buffaloreccia, 14
- Loreto (An)
- Tel. 071.970124
- www.ristoranteandreina.it
- prenotazioni@ristoranteandreina.it
- Turno di chiusura: martedì; mercoledì a pranzo
- Ferie: variabili