CopertinaRiservadelConte1971

– di Gianluca Montinaro

Il San Domenico, a Imola (Bo), possiede una delle cantine più vaste e profonde d’Italia. In fondo è normale che sia così, se solo si pensa che questa insegna è stata il primo vero grande ristorante italiano di cucina gourmet, concepito secondo stile francese. Correva il 1970 quando Gianluigi Morini lo aprì, e sin da subito iniziò ad acquistare quelle bottiglie, italiane e d’Oltralpe, che riteneva essere le importanti espressioni di un modo elegante e curato di ‘fare vino’. Fra quegli acquisti figura anche una partita del miglior vino siciliano sinora mai prodotto, per l’epoca lungimirante: Riserva del Conte, della Tenuta Regaleali (all’epoca denominata tout court Regaleali) di proprietà della nobile famiglia Tasca di Almerita.

Ma per comprendere bene di cosa si tratta si deve necessariamente fare un passo indietro, sino al 1830, quando i conti Carmelo e Lucio Tasca d’Almerita acquistano, nel centro della Sicilia, a metà strada fra Palermo e Caltanissetta, enormi estensioni di terra. Sono 1.200 ettari che, rimpicciolendosi a poco più di 500 dopo la riforma agraria del 1950, si distinguono per il particolare microclima e la grande diversità di composizione del terreno. Si tratta di colline con altitudine variabile fra i 400 e 900 metri, ricche di vegetazione e di verde, con clima caldo ma mai afoso e una grande escursione termica fra il giorno e la notte: insomma una situazione ben differente da quell’immagine di aridità che la Donnafugata del Gattopardo ha consegnato all’immaginario comune.

È in questa situazione che, nel 1959, un loro discendente, il conte Giuseppe, grande appassionato di vini francesi, tenta di produrre, con trasognata sagacia, un vino che potesse rivaleggiare con le grandi appellation della Valle del Rodano, soprattutto con lo Châteauneuf-du-Pape. Impianta a 500 metri, sulla ben ventilata collina di San Lucio, su terreni a prevalenza di sabbia e calcare con leggera presenza di scheletro e ph leggermente alcalino, con esposizione Sud-Est, una vigna di Perricone e Nero d’Avola di circa sette ettari, ad alberello, con densità di 4.400 piante per ettaro. Aggiungendovi poi, nel 1965, un altro ettaro di solo Nero d’Avola. Si tratta – come è ben noto – di due vitigni tipici della Sicilia, e abbastanza simili fra loro come ciclo vegetativo: maturano tardivamente fra settembre e ottobre, garantendo quindi, in combinazione con la peculiarità del microclima, una piena maturazione fenolica senza eccedere mai in sovramaturazione.

Nel 1970 (anche grazie all’aiuto di un giovane Ezio Rivella) si procede alla prima vendemmia ‘ufficiale’: le due uve (all’incirca in parti eguali) ben cernite vengono pressate e il vino lasciato affinare in botti grandi di castagno (alle quali sarebbero seguite, dal 1987, botti di rovere di Slavonia, e quindi dagli anni Novanta in poi barrique francesi) per un anno e mezzo. L’annata successiva – 1971 – di Riserva del Conte viene prodotta, in 8.280 bottiglie numerate, con le uve dei «vigneti delle colline di Case Vecchie»: ovvero un’altra zona della tenuta, ma «sempre con lo stesso amore dell’annata precedente». Ed è proprio questa seconda annata che abbiamo avuto la fortuna di degustare ai tavoli del San Domenico.

Ciò che sarebbe accaduto in futuro alla Riserva del Conte è noto. Il vino, che si tornò a produrre con le uve della collina di San Lucio, venne battezzato Rosso del Conte (oggi Contea di Sclafani Doc) perché – come dichiarato dal nipote del conte Giuseppe, il conte Alberto – quel particolare vigneto «ha una incredibile costanza qualitativa: la sua è una produzione di pochi grammi per pianta capace però di resistere all’influenza di climi estremi. È come se le piante avessero una memoria organolettica e fossero capaci di dare vita a frutti sempre interessanti». In tempi ancora più recenti, nel 2010, il nome di Riserva del Conte (Contea di Sclafani Doc) è stato destinato all’etichetta che celebra questa ‘storia’: si tratta di un vino da collezione (che come agli esordi affina in botti di castagno da 500 litri) prodotto, in bottiglie numerate, solo nelle annate perfette con la selezione delle migliori uve di San Lucio.

La bottiglia numero 2.785, annata 1971, aperta da Francesco Cioria, sommelier del San Domenico, utilizzando la Port tongs, si presenta in uno magnifico stato di conservazione, dovuto sia dall’utilizzo di un tappo di sughero di enorme lunghezza (che testimonia la lungimiranza del conte Giuseppe nell’immaginare sin da subito un vino da lunghissimo invecchiamento) e sia dalle condizioni ‘perfette’ (temperatura e umidità costante) della cantina dell’eccelso ristorante imolese. Il vino nel bicchiere si presenta limpido e con un colore che non fa per nulla pensare ai sui cinquantatré anni: il rosso, fra il rubino e il granato, si propone senza cedimenti, e pure l’unghia appare piena e carica. Al naso primeggia più la complessità che l’intensità, con una gamma di aromi di ottima finezza. Il terziario – come ovvio che sia – predomina ma senza ‘sentori di vecchio’: la sensazione minerale si muove dal carboncino alla resina (quasi un accenno di cassapanca) passando per il goudron, con sentori di frutta disidratata (mora e prugna) e fiori secchi, di macchia arsa, di leggere sensazioni speziate e balsamiche (eucalipto), di qualche tocco etereo. Inusitata vivezza che si riscontra anche in bocca: il nerbo del vino è ancora ben percepibile, con una vena di acidità sottile ma vibrante a sostenere tutto il sorso. La morbidezza è ben modulata fra sensazioni di medio calore e una struttura polialcolica sì imponente ma non soverchiante, fine e piacevole nel dialogo con le leggere sensazioni di ‘verde terrosità’ che si avvertono al palato. È poi il minerale a tornare e ritornare in centro di bocca ma senza alcuna violenza, e anzi con una sensazione di velluto di grande fascino. Nonostante l’età il vino appare ancora perfettamente equilibrato e, seppur non intensissimo, è persistente e ancora fine. Una bottiglia – quindi – che non solo è ‘esperienziale’ ma che si beve con piacere, confermandosi come uno degli eccelsi archetipi del vino italiano.

  • Tasca d’Almerita – Tenuta Regaleali
  • Contrada Regaleali
  • Sclafani Bagni (Pa)
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  • info@tascadalmerita.it