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– di Gianluca Montinaro

«Questa sera abbiamo un piatto fuori carta, un piatto speciale: la tourte de canard. È una ricetta storica, di monsieur Fernand Point. Mio marito l’ha ricevuta da monsieur Claude Peyrot». Così ci ha detto madame Danièle Pacaud, mentre ci stavamo accomodando a uno dei tavoli del miglior ristorante di Francia, e quindi del mondo: L’Ambroisie (Parigi; ristorante sublime del quale già abbiamo scritto, su questa testata, sei mesi fa).

Un’emozione mi ha attraversato, quasi un lampo. Un piatto: una triade di cuochi, uno più grande dell’altro. Il ‘creatore’ della ricetta, Fernand Point (1897-1955), Le Merveilleux, colui che, venendo dopo Escoffier, con la sua Pyramide, a Vienne (ristorante che ha detenuto le tre stelle Michelin dal 1933 al 1986), ha ‘trasportato’ la grande cucina francese nel XX secolo, prediligendo le materie prime di stagione e alleggerendo le pietanze. Il suo grande ‘allievo’, Claude Peyrot (1934-2023), che ai tavoli del Vivarois (Parigi), ha portato alla perfezione, con immenso genio creativo (si legga il suo La cuisine de l’émotion, 1992), con stile raffinato e rustico al contempo, piatti di enorme impatto gustativo. E infine Bernard Pacaud (allievo prediletto di Peyrot, e prima ancora della Mère Brazier), colui che con applicazione, pazienza ed estrema modestia da un lato, e visione, capacità e bravura ha cesellato e sublimato la gastronomia transalpina del Novecento, traghettandola nel nuovo millennio.

In questo trio di geni c’è – quindi – più di un semplice ‘passaggio di testimone’: c’è una sorta di ‘linea di sangue’, di genealogica filiazione, che rappresenta insieme, in un quadro complessivo e prospettico, la tradizione e il presente, il passato e l’oggi. Ed è proprio per questo che l’immensa grandezza di Pacaud risiede nel suo essere ‘creatore’ e ‘ripropositore’ al contempo. Nel suo essere ‘qui e ora’, con i suoi piatti («Escalopines de bar à l’émincé d’artichaut, nage réduite au caviar Kristal»; «Noix de Saint-Jacques, mousseline de persil, nage safranée»;…), e depositario di una maestria secolare che è, e che va, oltre la sua stessa persona.

Così questo ‘timballo’ in crosta di pezzi di anatra, con al centro la sua scaloppa di fegato grasso e il suo fondo saporito e leggero al contempo in accompagnamento, assurge a capolavoro assoluto di un modo di fare e di intendere la cucina che è – indubitabilmente – patrimonio culturale di un popolo. Quando, nel 1955, Point morì, ancora giovane (aveva appena 58 anni), l’allora presidente della Repubblica, René Coty, scrisse alla vedova Madò: «Madame, voi siete destinata a continuare in un’impresa che è utile alla causa della nazione. Il frutto del lavoro di vostro marito non può scomparire con lui. È vostro dovere continuare la tradizione».

Ecco, appunto: «continuare la tradizione». Che non significa riproporre pedissequamente e artificiosamente, senza anima e senza passione. Significa ripensare continuamente ciò che è stato per renderlo ancora, di nuovo e sempre, vivo e vitale: prima, ora e dopo. Perché, con buona pace dei ‘passatisti’, di coloro che cantano solo le lodi di quello che non c’è più, il passato ha un senso perché c’è un presente, e c’è un futuro. Quello che ha portato avanti madame Madò. Quello interpretato dall’inimitabile Peyrot. E quello – oggi, adesso – di Bernard Pacaud che ‘riproponendo’ in realtà interpreta a suo modo, inimitabile altrettanto, tutta quella storia, quella ‘linea genealogica’, della quale è figlio e nipote.

È una cucina di cultura e di «civilité», quella di Pacaud. Perché, come lui stesso dice: «Cerca la materia prima migliore. Cucinala senza leziosità. Offri il meglio, semplicemente»…! Ecco la grande gastronomia francese. Ecco il genio.

  • L’Ambroisie
  • Place des Vosges, 9
  • Parigi
  • Tel. 0033.(0)1.42785145
  • www.ambroisie-paris.com
  • Turno di chiusura: lunedì; domenica
  • Ferie: variabili